Si chiamano Mohamed, Youcef, Mustapha, Ahmed e Ali. Sono partiti mesi o addirittura anni fa dall’Africa settentrionale e subsahariana e sono arrivati a Briançon dopo aver attraversato le Alpi che separano l’Italia dalla Francia. Sono lì in uno stato latente, dopo settimane di lunghe camminate. La presenza di questi uomini in Francia non è stata una scelta, ma piuttosto il risultato di alcune circostanze inevitabili. Non avevano alcun legame precedente con la Francia o con altri Paesi europei, eppure si sono trovati bloccati a Briançon, proprio sul confine. Con il tempo, sono arrivati ad abbracciare completamente questa terra come propria. Insieme abbiamo esplorato le vaste distese delle montagne di Briançon. L’interazione con il paesaggio, l’immersione e la contemplazione erano i ritmi di questi tempi. Qui il camminare è visto come uno sfogo, uno stato riflessivo, una fuga dalla routine quotidiana, a volte cupa. Ho visto corpi stanchi, corpi in attesa, soggetti alle decisioni, alle autorizzazioni e agli obblighi delle autorità statali. Mohamed, Mustapha, Youcef e Ali si trovano intrappolati in questa situazione, girano in tondo, disegnano cerchi nel paesaggio, come le rondini, i cui movimenti rapidi e fluidi evocano libertà e speranza. Come i rifugiati in attesa, le rondini devono affrontare incertezze, paure e ostacoli. Sono alla ricerca di una terra ospitale, un luogo dove saranno accettate con gentilezza e dove potranno trovare pace. La Ronde des Hirondelles dipinge un ritratto di uomini in sospensione. Tra la frammentazione dei corpi e dei paesaggi, le fotografie ritraggono la vita quotidiana di questi uomini nel cuore delle Hautes-Alpes, il loro rapporto con il camminare e il tempo sospeso che li lega temporaneamente a questo territorio. Il progetto evidenzia anche la complessità delle situazioni dei richiedenti asilo, le loro lotte e la loro resilienza di fronte alle avversità.
Gennaio 03, 2020